Come vi abbiamo raccontato qui, l’adolescente vive contemporaneamente il bisogno di dipendere e di essere indipendente, esprimendo questa contraddittorietà attraverso l’alternarsi di comportamenti tipicamente infantili di ricerca di protezione da un lato, e comportamenti più maturi (e/o sfidanti) di ricerca di libertà dall’altro.
Tale modalità, nella relazione con i propri genitori, può riassumersi nel concetto di simbiosi ambivalente (“nè con te, nè senza di te”), che sintetizza gli atteggiamenti dell’adolescente come tentativi di risolvere il conflitto legato al duplice bisogno sopra citato.
Il conflitto tra ricerca e paura della libertà
Anche il tema della libertà è vissuto con ambivalenza: da una parte ricercata, dall’altra fonte di ansia e paura. Essere liberi significa infatti poter (finalmente) scegliere in autonomia ciò che è meglio per sè, ma al contempo implica il doversi assumere la responsabilità di tali scelte.
Tale ambivalenza verso la libertà si esprime, nell’adolescente, attraverso posizioni contraddittorie: desiderio, paura, negazione della paura. Quest’ultima viene spesso espressa anche tramite comportamenti di ribellione, rischio, sfida al limite, come a celebrare una “libertà incondizionata”.
Come sostenere l’adolescente nella risoluzione del conflitto
Sono due le funzioni che devono essere esercitate, in termini di genitorialità, per sostenere i propri figli adolescenti in questa difficile fase di vita caratterizzata da dubbi, incertezze, insicurezze e necessità di affrontare i drastici cambiamenti che li coinvolgono.
Si tratta della funzione materna e della funzione paterna.
Si parla di “funzioni” poichè l’una e l’altra possono essere esercitate dall’uno o dall’altro genitore – indiscriminatamente – ma anche da un solo genitore capace di incarnare entrambe.
L’importante, per un efficace supporto alla crescita dei propri figli, è la presenza dell’una tanto dell’altra, in modo equilibrato.
La funzione materna: accettazione e accudimento
Cosa significa esercitare la funzione materna?
- Accudire, cioè offrire un senso di continuità e costanza, che dà sicurezza. Significa continuare a svolgere la funzione di “base sicura”, necessaria al bambino per poter esplorare sapendo che ci sarà sempre la mamma ad aspettarlo. Allo stesso modo, essere “base sicura” per l’adolescente significa veicolargli la certezza che è libero di sperimentarsi, poichè ci sarà sempre qualcuno ad accoglierlo, a prescindere dall’esito della sua sperimentazione.
- Rispettare i tempi dei propri figli senza imporre i propri o quelli “desiderati” dalla società e dal contesto culturale di appartenenza.
- Sostenere i propri figli nei momenti in cui percepiscono vissuti penosi di frustrazione, perdita, sconforto.
- Fornire un contenimento emotivo sia alle manifestazioni “esplosive” (rabbia, collera) che alle manifestazioni “implosive” (ritiro, tristezza, depressione).
- Accettare i propri figli per ciò che sono e per ciò che desiderano, senza imporre i propri ideali di realizzazione umana e professionale, al fine di incoraggiare in loro l’emergere del proprio Vero Sè.
- Riconoscere le risorse dei propri figli per aiutarli a nutrire il proprio sistema di sicurezza, che va gradualmente interiorizzandosi, così che possano poi riconoscersele in autonomia.
La funzione paterna: limite ed emancipazione
Cosa significa esercitare la funzione paterna? Significa accompagnare il proprio figlio verso l’emancipazione dalla famiglia di origine senza che questo movimento venga vissuto come una minaccia alla propria sicurezza, quindi:
- Aiutare il proprio figlio a mettere a fuoco l’ambivalenza tra la paura e il desiderio di diventare grande e “staccarsi dai genitori”, sostenendolo nella ricerca delle proprie spinte verso il nuovo.
- Sostenere il proprio figlio nella presa di coscienza dei propri talenti e capacità, utili a soddisfare (ora in autonomia) i propri bisogni e desideri, ma anche degli ostacoli che gli impediscono di utilizzare tali competenze, al fine -quando possibile – di superarli.
- Trasmettere al proprio figlio l’idea di “limite come tutela”. Accogliere i limiti (propri e della realtà esterna) non significa porsi in una posizione passiva o rinunciataria, ma accettare ciò che oggettivamente non può essere cambiato, spostandosi da una (rischiosa, e illusoria) posizione di onnipotenza ad una (realistica e sana) posizione di potenza relativa.
- Incoraggiare il proprio figlio nel divenire consapevole delle proprie spinte evolutive, rivolte al futuro, e nel considerare la parte “buona” e gratificante (dunque non spaventosa) del mondo adulto.
- Trasmettere al proprio figlio l’idea che crescere non significa “perdere” la propria identità infantile, ma integrarla con nuove parti di sè, in evoluzione.
- Incoraggiare la curiosità del proprio figlio nel vedersi adulto, cresciuto, portatore di nuove caratteristiche e acquisizioni.
Un ultimo consiglio
Ogni adulto è stato adolescente, ma spesso (anche grazie alle proprie “difese immunitarie psicologiche”) dimentica quanto sia stato difficile.
Dentro ogni adolescente ribelle, arrabbiato, ritirato, dall’umore labile, incomprensibile, che ci fa disperare c’è una lotta dolorosa: quella tra un piccolo bambino che sta faticosamente diventando un ricordo e un adulto in costruzione che sente di non essere attrezzato al mondo che lo aspetta. C’è paura, confusione. C’è un conflitto che, essendo inconsapevole, spaventa ancora di più. C’è un corpo che cambia, in modo sproporzionato. C’è una mente in espansione che sta imparando nuove modalità di pensiero ed è invasa da nuovi contenuti, anche indesiderati. Ci sono desideri e bisogni, ma non c’è la garanzia di poterli soddisfare.
L’invito, qui, è quello di osservare i propri figli, sforzarsi di andare oltre i propri vissuti spesso di rabbia e/o sconforto per i loro atteggiamenti sfidanti o incomprensibili e fermarsi a chiedersi il perchè di tali modalità.
I genitori hanno una responsabilità, famigliare e sociale: quella di essere gli adulti che ancora i propri figli non sono, accompagnandoli ad essere gli adulti che saranno.