Ci capita spesso di vedere un bambino che parla con le bambole, con i peluche o con il proprio amico immaginario: un comportamento che testimonia quanto sia importante, fin dalla più tenera età, avere un ascoltatore a disposizione.
Imparare a comunicare significa anche imparare a relazionarsi – con genitori e fratelli prima, con amici, partner, colleghi e superiori poi – in modo funzionale con le persone della propria vita.
Vien da sè, quindi, quanto sia importante crescere in un “buon” contesto comunicativo.
E’ infatti all’interno della famiglia che i bambini imparano non solo a parlare, ma anche a utilizzare le “regole” comunicative in modo corretto (turni di parola, volume della voce, espressione della propria emotività, registro linguistico compatibile con l’interlocutore e il contesto).
Una competenza precoce
Secondo alcuni autori (tra i quali Bruner, Stern, Camaioni), è fondamentale considerare il bambino come un attore attivo nello scambio comunicativo fin dalle primissime fasi della sua vita. Il neonato, infatti, nel suo essere sia socialmente reattivo che socialmente attivo, mostra in età precoce alcune competenze comunicative innate osservabili negli scambi con i suoi caregiver primari:
-Il “perceptual narrowing” che consiste nell’affinare il riconoscimento degli stimoli rilevanti per l’ambiente culturale e sociale in cui è inserito (tra i quali i suoni tipici della lingua del contesto in cui vive).
-Il “turn taking” (“prendere il turno”), che si rileva già in fase di allattamento e successivamente si trasforma nella capacità di rispettare i turni di parola.
-Il co-orientamento dell’attenzione con il proprio interlocutore (che si osserva, ad esempio, quando il piccolo e il genitore osservano contemporaneamente lo stesso oggetto), base per la successiva “condivisione dell’argomento di conversazione”.
Queste competenze precoci creano, all’interno della diade genitore-bambino, un primo sistema interattivo: reciproco, aperto al mondo esterno, capace di autoregolarsi e di costruire e condividere significati, qualità necessarie ad un’esperienza comunicativa – e dunque relazionale – funzionale e soddisfacente in età adulta.
Sviluppare le competenze comunicative del bambino
Se è vero che il bambino nasce con le competenze comunicative innate sopra descritte, è vero anche che lo sviluppo adeguato di tali competenze richiede pratica e impegno.
Ad ogni età della vita è possibile “imparare a comunicare bene”, tuttavia crescere in un ambiente relazionale che offre modelli corretti ha significativi vantaggi.
La cornice entro cui inserire questo apprendimento è senza dubbio la presenza di uno spazio per il dialogo: uno spazio entro cui il bambino senta di potersi esprimere, di essere ascoltato e di essere considerato, sensazioni veicolate anche dalle risposte coerenti e contingenti offerte dall’adulto.
NO, dunque, all’esposizione precoce alla televisione, dove la comunicazione è soltanto ad una via: tale esperienza – per sua natura – insegna al bambino che nessuno risponderà alle sue parole.
SI, invece, all’ascolto attivo, dove è presente un adulto partecipe e un bambino che percepisce che qualcuno presta attenzione alle sue parole, ai suoi stati emotivi e alle sensazioni che le accompagnano.
Sono state formulate alcune tecniche (tra l’altro, le stesse utilizzate dagli psicologi anche con pazienti adulti) che sintetizzano cosa significhi, concretamente, “ascolto attivo”: aiutare il bambino a ri-narrare il proprio messaggio affinchè sia più chiaro e comprensibile; rinviare al bambino il significato del messaggio da lui trasmesso, con altre parole (con l’intenzione di verificare se si ha capito bene, ma anche di comunicare di aver prestato attenzione).
Talvolta può essere utile che l’adulto, infine, dia consigli. Talaltra, invece, no: non sempre, infatti, i bambini (così come gli adulti) necessitano di suggerimenti; può essere che cerchino semplicemente qualcuno che li aiuti a tradurre in parole le loro emozioni e i loro sentimenti.
Qualche tecnica comunicativa specifica
Creare uno spazio per il dialogo ed esercitare l’ascolto attivo rappresentano le due fondamenta per lo sviluppo di buone capacità comunicative nei bambini.
Tannock e Girolametto (1992), nel loro “Modello Interattivo” hanno descritto più nello specifico una serie di tecniche utili per rinforzare questo apprendimento, divise per categorie:
- Tecniche orientate sul bambino, che consistono nel condividere momenti di attenzione focalizzata sugli interessi e argomenti del piccolo. Ad esempio: comunicare faccia a faccia, centrarsi sul bambino, commentare in diretta l’oggetto di interesse.
- Tecniche che promuovono interazioni e che considerano il bambino come partner conversazionale. Ad esempio: parlare con un ritmo lento, fare frequenti pause per favorire la presa di turno conversazionale, usare turni bilanciati nella conversazione, fare domande aperte, cogliere e confermare il successo comunicativo.
- Tecniche che modellano il linguaggio, che sottolineano l’importanza di calibrare l’input linguistico secondo le capacità del bambino. Ad esempio: semplificare il linguaggio, ripetere frequentemente le frasi, denominare e descrivere gli oggetti/gli eventi in modo contingente, imitare ed espandere, stimolare l’apprendimento di una parola-target, ristrutturare il messaggio.
- Strategie che promuovono l’emergere del discorso. Ad esempio: dare spiegazioni, dare suggerimenti, creare una realtà immaginaria, esprimere in modo organizzato i contenuti, i sentimenti, i desideri impliciti; fare riferimento all’esperienza passata e futura, aiutare a raccontare eventi, aiutare ad esplicitare i punti di vista, descrivere eventi/immagini in modo complesso.